La lotta del popolo sudafricano è stata condotta da numerosissime organizzazioni nate in risposta alle discriminazioni e alle repressioni del regime; ne elenchiamo le più significative:
Anc – (African National Congess) fondato nel 1912 con il nome di “Congresso nazionale indigeno sudafricano” è stata la più grande forza di opposizione al regime dell’apartheid operando sia in Sudafrica che in esilio. Nel Congresso del 1955 adottò la “Carta della Libertà”: un manifesto in cui si dichiarava tra l’altro che il Sudafrica è di tutti coloro che ci vivono senza distinzioni razziali, che la democrazia è la base della convivenza, che la pace e l’amicizia tra il popolo saranno assicurate garantendo l’uguaglianza dei diritti, delle possibilità e della condizione di tutti. Venne messo al bando dal 1960 al 1990. Nel 1994 vinse le prime elezioni libere con il 63.67% dei voti e nel 1999 con il 66,4% dei consensi.
Sacc – (South African Council of Churches) condannò l’apatheid e chiese l’applicazione di sanzioni internazionali. Il Consiglio delle Chiese del Sudafrica è formato dalle Chiese: luterane, anglicane, metodiste, presbiteriane e la chiesa riformata “nera” (quella “bianca per molto tempo ha appoggiato l’apartheid). La Chiesa Cattolica ha collaborato attivamente con la Sacc pur senza farne parte.
Cosatu – (Congress of South African Trade Unions) fondato il 1 dicembre 1985 nasce dalla fusione di 33 organizzazioni sindacali che concordano nell’esigere in primo luogo i diritti politici, l’eliminazione del pass ( il passaporto obbligatorio per i neri che vogliono spostarsi all’interno del paese) il ritiro delle truppe dai ghetti neri, la libertà incondizionata per Nelson Mandela, la fine dei bantustans e del sistema della manodopera migrante con il quale il nero diventa straniero in patria. Oggi al Cosatu aderiscono 1.800.000 lavoratori.
Udf – (United Democratic Front) fondato nel 1983 come “organizzazione ombrello” di più di 600 gruppi di base, locali e nazionali, non-razziali e anti-apartheid.Fra i suoi leader riconosciuti il reverendo Boesak e l’arcivescovo Desmond Tutu.